Dunque, abbiamo visto che vi sono sostanzialmente due macrotipologie di attori rispetto alle azioni fisiche. Tutti gli attori, però, si trovano di fronte ad un rischio comune. Ossia che queste azioni, dopo essere state ben organizzate e ben impostate, perdano di significato e diventino movimenti vuoti e banali. Le azioni muoiono, come si dice in gergo. Ma come fare per combattere la morte delle azioni? Ogni attore non deve mai smettere di ricordare a se stesso che cosa sta facendo in scena e soprattutto a chi. Spesso le azioni fisiche muoiono perché si è perso il contatto con il/i partner di scena.
Il fatto di sapere già cosa si farà e quali saranno le reazioni del partner porta ad un cattivo ascolto (Avere un cattivo ascolto in scena è il peggio che possa accadere ad un attore – per questo servono molte ore di lezione ed esercizi specifici). Ossia la scena
non è più veramente vissuta, ma solo citata, accennata. In realtà, ciò che accade in scena è sempre un po’ diverso, le reazioni saranno sempre lievemente differenti, le sfumature saranno diverse, ecco perché bisogna sempre porre attenzione, perché seppur la linea di azioni è la stessa, il modo con cui si reagirà sarà sempre lievemente differente. Il partner non sarà mai lo stesso, perché la vita di tutti i giorni non è mai la stessa. Non è un caso che, spesso, se vedi uno spettacolo alla prima replica della turné e poi all’ultima, a distanza di mesi, lo spettacolo sarà mutato, sarà differente (vi consiglio questo esperimento, fatelo, è affascinante rivedere lo stesso spettacolo con gli stessi attori a distanza di mesi, a volte si ha l’impressione di vedere proprio un altro spettacolo!). Perché? Perché uno spettacolo è come un essere vivente, che pulsa, che si modifica organicamente se c’è reale ascolto tra gli attori in scena. La linea delle azioni fisiche, quindi, sarà sempre la stessa, ma si adatterà alla vita in scena, a ciò che accade veramente (ad esempio, se accade un imprevisto, banalmente cade un bicchiere in scena: gli attori in ascolto reagiscono coerentemente alle proprie azioni fisiche senza inficiarle o modificarle, ma solo adattandole. Spesso gli attori meno esperti vanno in confusione e non riescono a reagire coerentemente: o ignorano l’oggetto che cade, oppure cambiano totalmente le loro azioni dando troppa importanza al bicchiere, dimenticando la loro linea e i propri obiettivi). Ed è questo ciò a cui aspira Grotowski, e ciò che lui che Stanislavskij chiamavano vera spontaneità scenica.Quante volte, finito uno spettacolo, dopo ore di prove, di sudore, di cura e attenzione, esci dal palcoscenico e incontri persone che, ovviamente inesperte commentano: “Cavoli, però, che memoria che hai!”. Come se la recitazione fosse una mera prova mnemonica! La memoria in realtà è il meno. È tutto il resto che è difficile! Ovviamente lo dico con tenerezza e se qualcuno si sente chiamato in causa, bhe, non se la prenda. È normale che sia così, se nessuno mai gli ha spiegato che tipo di lavoro ci sia dietro.
Bon, questa è la teoria…e tra il dire e il fare…bisogna fare! Bisogna sbagliare, bisogna agire. Se poi si sbaglia pazienza, si avrà modo di migliorare. L’importante è cercare sempre di fare le cose con cura.
Un abbraccio a tutti.
P.S.: Spero vi sia stato utile per chiarire alcuni concetti.
Per approfondimenti:
Thomas Richards, Al lavoro con Grotowski sulle azioni fisiche, Ubulibri, 1993
Gaetano Oliva, Il Laboratorio Teatrale, LED, 1999