Qualche giorno fa, mentre ero all’inaugurazione di una scuola di teatro, mi è stata posta questa domanda: “Senti, Luca, ma come fa un attore a dover rifare ogni sera la stessa scena e ogni sera deve far emozionare il pubblico?
In effetti un attore si trova costantemente di fronte al problema di dover ripetere la stessa scena infinite volte e ogni volta quella stessa scena deve risultare viva e fresca, come se la stesse vivendo per la prima volta. E’ una lotta continua, a volte snervante. Ma come riuscire a superare questa maledetta difficoltà? Bhe, una possibile risposta la dà Grotowski ed è molto semplice: la chiave è l’azione fisica. “Le azioni fisiche sono il fulcro del mestiere dell’attore”. Un attore ha bisogno di fissare la linea di azioni fisiche (ossia l’insieme delle azioni fisiche durante una scena), nello stesso modo in cui un musicista segue la sua partitura.
L’insieme delle azioni fisiche deve essere:
- dettagliata minuziosamente
- memorizzata completamente
La linea delle azioni fisiche necessita
di precisione, di cura e memoria. Memoria nel senso che quest’insieme di azioni devono essere provate, preparate e sviluppate al punto che l’attore stesso le assimila così tanto da non aver più bisogno di pensare alla successione delle cose da fare. In altre parole riesce a rendere organica questa successione di azioni.Ma che cos’è un’azione fisica? È un movimento fisico? Un gesto? C’è un po’ di confusione a riguardo. Un movimento fisico fine a se stesso (ad esempio alzare un braccio verso l’alto), è un semplice gesto, banale e senza interesse. Lo stesso identico movimento, se finalizzato ad uno specifico obiettivo (per salutare oppure per attirare l’attenzione), diviene un’azione fisica. Ma molto spesso si fissano solo i movimenti e non l’azione fisica. Il risultato è quello di avere scene vuote con movimenti fissati. La scena risulta noiosa, morta, diviene una successione di parole con poco senso (a quel punto tanto vale leggersi il testo a casa: si sta più comodi!)
Nel lavoro grotowskiano, invece, non si cercano mai i personaggi. Le azioni vengono create direttamente con ricordi personali dall’attore stesso. La domanda alla base di questo approccio diviene: che cosa farei nelle circostanze di questo ricordo? Quindi il focus non è sul personaggio, ma sul ricordo, sulla creazione di una struttura legata al mondo interiore dell’attore, diviene quindi una creazione unica, specifica e personale che parte dal proprio mondo interiore e dall’inconscio per certi versi. Il secondo passaggio di questo processo consiste poi nell’organizzazione e nella ripetibilità della linea d’azione.
Sia per Stanislavskij che per Grotowski, quindi, le azioni fisiche sono un mezzo per trovare altro. E qui risiede la diversità tra i due approcci. I fini ultimi, infatti, sono differenti: per Stanislavskij le azioni sono un mezzo per arrivare ad una vita realistica sulla scena; mentre per Grotowski sono uno strumento per trovare e scoprire qualcosa d’altro in scena. Per quest’ultimo le azioni fisiche servono per scoprire “altro” in scena. E che cos’è questo “altro”? È l’ignoto, è il presente, è quell’ hic et nunc che rendono unica ed irripetibile ogni prova in scena.
Si tratta di sfumature in realtà, ma non così trascurabili. E soprattutto, non sono due metodologie per cui una sia meglio dell’altra. Sono solo due approcci differenti. Sta all’attore o al regista capire quale sia più efficace per sé, per la compagnia, per la scena.
Nel prossimo post parleremo dei diversi approcci per costruire le azioni fisiche.
Stay tuned!
Per approfondimenti:
Thomas Richards, Al lavoro con Grotowski sulle azioni fisiche, Ubulibri, 1993
Gaetano Oliva, Il Laboratorio Teatrale, LED, 1999