Sono tempi difficili: l’autunno è arrivato, i primi raffreddori, Roma si è allagata, la Liguria e il nord della Toscana sono in ginocchio, il sud-est della Turchia è stato devastato da un terremoto. La natura fa il suo corso. Così tutti noi.
Ed è così che, come ogni domenica in cui sono a casa, suona la sveglia, mi alzo, faccio colazione mezzo addormentato, leggo qualche news via web, accendo la tv e faccio un po’ di zapping. “Dai, ok, va bene il motogp” – mi dico. D’altronde le voci di Guido Meda e Paolo Beltramo la domenica mattina “ci stanno”, sono di casa. Quando tutto a un tratto c’è qualcosa che va storto. Una curva, una traiettoria che taglia la pista, l’impatto, un ragazzo a terra. Spavento e angoscia, a cui d’improvviso s’aggiunge il silenzio. Un lungo silenzio.
Rimango fermo davanti allo schermo. Inerme, senza parole, come quel corpo. Rimango in piedi immobile per un po’ di minuti, intontito. La tazzina del caffè, i cereali, il latte e una confezione di merendine mi fissano dal tavolo per tutto quel tempo. Dalla voce dell’inviato Mediaset arriva l’annuncio ufficiale: Simoncelli, il capellone, quello con la voce da cartone animato, quello che aveva i poster di Valentino Rossi in cameretta non c’è più, ci ha lasciato, non ce l’ha fatta. Un nodo stringe la gola, che diventa ora pesante come quell’impatto dopo la curva. I polmoni si stringono per far posto a qualche lacrima. Mi siedo sul divano. Guardo la tv, con la bocca semiaperta e una mano che si asciuga gli occhi. Non c’è altro da aggiungere: spiace, spiace davvero tanto. Come me, saranno stati in tanti quella mattina, anche i non appassionati di motociclismo, anche semplici amanti dello sport.
E allora via alle tragiche danze mediatiche, com’è normale che sia. Interviste, servizi speciali, documenti video, tutto per farcelo conoscere meglio. Chi era Marco? Non so chi era, non l’ho vissuto sulla pelle e non ho le conoscenze adeguate per parlarne. Però cosa ci rimane a noi che non l’abbiamo conosciuto? Rimane ciò che ha fatto e come l’ha fatto. Durante tutte queste trasmissioni, gli articoli di giornale, gli approfondimenti la mia mente si è appuntata delle cose, che sono rimaste lì, nel limbo della memoria. Le butto lì, al volo:
- “Era un guerriero”
- “Era talentuoso”
- “Era coraggioso”
- “Era così come lo vedete alla tv”
Perché ci piacciono gli atleti che corrono? Perché ci affascinano i piloti di F1 o di motogp? Perché corrono il rischio, perché sfidano la morte con coraggio, combattendo le proprie paure. Cosa che tutti noi vorremmo fare, e spesso non ci riusciamo. Le nostre paure ci bloccano, non ci fanno correre nella vita di tutti i giorni (non intendo in autostrada, di quelle corse ne abbiamo già piene i tg sfortunatamente).
E in questo caso le parole di Simoncelli sono le più adeguate:
“Io vedo anche alcuni miei amici che magari capito finito il liceo, non sanno nemmeno loro che cosa fare, se andare all’università, se lavorare. Secondo me una cosa che aiuta a vivere in modo comunque più coraggioso è avere un obiettivo. Che sia di qualsiasi tipo, di sport o di lavoro. Però Diobò se te hai nella testa un obiettivo, un qualcosa che devi raggiungere, secondo me ti aiuta ad andare avanti senza paura“.
Avere un obiettivo. Esatto. Da raggiungere senza paura. Un atleta come un artista. Già in un altro post ho parlato di questo parallelismo (Coraggio e condivisione. Shanghai e il mondiale di pallanuoto). Cos’hanno in comune atleti e artisti: disciplina (se vuoi arrivare a certi livelli devi averla), determinazione, senso del sacrificio, leggerezza (devi amare, devi avere passione per ciò che fai) e ovviamente senso per lo spettacolo. Lo sport come l’arte è in fin dei conti intrattenimento.
“Simoncelli era appassionato di moto” – dice Guido Meda. Aveva fatto della sua passione una professione e affrontava questa professione con la dovuta leggerezza perché sapeva di essere un privilegiato. Così un artista o un allievo attore deve sapere di esserlo. Un privilegiato. E spesso quando la determinazione supera la passione qualcosa si perde. Si perde il gusto di ciò che si sta facendo. E allora tutto si fa più pesante e poco affascinante. Senza ironia, goliardia e senso del divertimento è difficile essere buoni attori. Mai prendersi troppo sul serio, no? E poi, d’altronde, la vita e la civiltà stessa si è evoluta grazie al senso del gioco.
E mai prendere le cose sottogamba. Sennò il tuo talento va sprecato. “Meglio 5 minuti in moto che una vita sprecata”. Non è un inno alle corse a fari spenti nella notte, attenzione, è altro. Ossia, meglio 5 minuti alla grande, cavalcando ciò che ti rende davvero felice, che una vita sprecata dietro al nulla. Ciò che ci rende felice spesso è qualcosa che esalta il nostro talento, sia esso teatro, sport o altro: essere un bravo manager o un bravo medico. Simoncelli è morto sul campo, come Molière. Tragica fatalità, ma Marco stesso accettava per primo le regole del gioco. “Eh, bhe, fa parte della corsa!” Il talento l’ha seguito. I genitori hanno seguito il suo talento. C’è tanto da imparare. Spesso i genitori si mettono di mezzo, ostacolano il talento dei figli, sicuramente a fin di bene, ma possono creare difficoltà. Come qualcuno ha detto, i genitori partoriscono i figli due volte, alla nascita e nel momento in cui devono prendere la loro strada. In questo secondo caso, spesso, si arriva all’aborto o alla castrazione. Lui sapeva di essere stato fortunato, sapeva che i genitori lo hanno appoggiato. E lo stesso è valso anche per me e non smetterò mai di essere grato ai miei per questo.
“Era un guerriero” – ha detto il padre. E la cosa mi ha incredibilmente toccato.
Dedicato alla famiglia Simoncelli e a tutti i sognatori