Il gioco (dallo sport alle carte passando per il teatro) – da Huizinga a noi

Il teatro è sostanzialmente un gioco, un videogame fatto di carne, sangue, cuore e sudore. Sì, il teatro è un bellissimo gioco che può far piangere, ridere, pensare: a volte è straziante, altre volte noioso, in alcuni casi esilarante.

E come tutti i giochi ha le sue caratteristiche, le sue regole e le sue trasgressioni. Ma quali sono?

Mmm…Facciamo un passo indietro. Parliamo del concetto di gioco in sé, prima ancora del teatro. Qual è la caratteristica più significativa del gioco? Il grande storico olandese Huizinga ha ben sviscerato questo concetto: “La caratteristica piú significativa del gioco è di essere un atto libero, almeno per l’uomo adulto. Inoltre il gioco si differenzia dalla vita normale come lo scherzo dalla cosa seria, anche se a volte esso viene preso molto sul serio.” Dunque il teatro è gioco e il gioco ha come caratteristica più significativa quella di essere un atto libero. Bene.

Il gioco è tipicamente un’attività per bambini, attraverso il quale imparano a conoscere la realtà e le relazioni. Non è così per l’uomo adulto e responsabile, infatti per lui il gioco è una attività tralasciabile. È un’attività superflua, e può divenire necessaria solo nel caso in cui vi fosse un’esigenza forte. (Infatti spesso un attore non viene cosiderato adulto dalla comunità, ma un eterno bambino con poca voglia di crescere! Cosa che non mi trova personalmente d’accordo, anzi…mi fa imbestialire…l’attore cerca di conservare gli occhi del bambino…non il suo cervello, del bambino intendo!)

Ma torniamo a bomba: il gioco ha una seconda caratteristica, ossia quella di possedere un tono “scherzoso”. Cosa che si contrappone dal tono “serio” della vita normale, quotidiana. Il gioco è extra-quotidiano, è un allontanarsi dal quotidiano per vivere un’esperienza “per scherzo” (preferisco dire per scherzo piuttosto che “per finta”, perché lo trovo più vicino al concetto di gioco). Ma “per scherzo” non significa che non si possa giocare “seriamente”. In effetti la contrappoosizione tra gioco e serietà rimane sempre un rapporto labile ed instabile. Basti pensare a come spesso un gioco si impossessi del giocatore stesso (e i casi qui sono moltissimi, dal “demone del gioco” per chi scommette, alla trance agonistica di calciatori e atleti, al momento estatico dell’artista etc). Spesso quindi il  gioco si converte in serietà e la serietà in gioco. Ed è evidente come il gioco (qualunque esso sia, calcio, pallanuoto, teatro o cinema) sappia innalzarsi a vette di bellezza e di santità che la serietà non raggiunge.

Nei giochi poi è importante avere delle regole. Il gioco ha limiti propri (sia di spazio che di tempo), senza limiti e regole precise il gioco non risulta interessante, diviene privo di stimoli e presto si abbandona. Un gioco non si può protrarre all’infinito, deve avere dei limiti di tempo definiti, chiari e precisi. Il calcio, il basket, la pallanuoto, sono tutti giochi con delle regole ben definite. Solo se ci sono regole di questo genere il gioco acquista un’altra qualità: ossia diviene cultura, con un suo spirito, una sua armonia, una sua bellezza. E così nascono gli artisti di quel gioco: Pelé, Maradona, Magic Johnson, Michael Jordan…Ed è importante anche lo spazio: avete mai visto giochi in uno spazio indefinito? Mmm…io no. Sia esso un campo in erba, un’arena, un palcoscenico, un tavolino, un tribunale, un monitor o uno schermo cinematografico, tutto viene definito in anticipo. È charo così dove sarà il focus dell’attenzione. È quello che molti chiamano il “cerchio magico” (usato soprattutto per definire gli spazi rituali). È il luogo deputato a un’azione in sé definita. So cosa devo fare all’interno di quello spazio, con regole e “attori” definiti.

In tutti i giochi più strutturati inoltre c’ è una caratteristica fondamentale: il cambio di turno (sia esso il cambio di campo oppure, come nel baseball, il cambio tra squadra che attacca e squadra che difende); una forma di ritornello (qualcosa che ritorna), concedetemi questo parallelo con il mondo musicale.

Tutto ciò a cosa porta? Bhe, avere tempo e spazio definiti, regole precise e chiare porta ad un unico risultato: l’ordine. Il gioco in sé quindi diviene cultura e ha un aspetto anche morale nel momento in cui è portatore di ordine: è incredibile vedere come 22 ragazzini insieme facciano baccano, scherzino tra loro, urlino, siano per molti aspetti ingestibili, se poi li metti dietro ad un pallone e gli dici: ok, ragazzi, questo è il pallone, giochiamo a calcio, bhe…ecco che il chaos sparisce e arriva l’ordine! Tutti lavorano per un unico risultato: fare gol! Ah, che bello…Viva le linee, viva la geometria, come dice il Don Giovanni di Max Frisch!

Per un periodo limitato nel tempo ecco che, nel nostro mondo imperfetto e caotico, si cerca di realizzare e concretizzare la perfezione. L’ordine imposto dal gioco è assoluto e ogni minima deviazione da esso rovina il gioco, gli toglie il suo carattere e lo svalorizza. Pensate a quando giochiamo a carte, qualora dovessimo contravvenire alla regola per cui non si parla tra compagni di squadra allora il gioco perde valore e si manda tutto a monte, come si suol dire…Così nel teatro. Uscire dalle regole teatrali fa perdere valore al teatro stesso e ai suoi valori.

In tutto ciò sta la tensione del gioco, nel rimanere entro i limiti delle regole e all’interno di esse, avere la meglio sull’avversario utilizzando le forme più disparate (basti pensare al calcio, dove ogni singola grande giocata – una gran rovesciata, quella del logo della Panini ad esempio – è e possiede una forma fisica ed estetica ben precisa). Il gioco quindi tende alla forma, e più precisamente a forme ordinate. Ma se tende a forme ordinate allora ha a che fare con l’estetica e l’arte del bello. E quali sono i termini che cercano d’esprimere la bellezza? Sono gli stessi in effetti che si usano anche nel teatro: tensione, equilibrio, oscillamento, ritornello, scambio, contrasto, confronto, variazione, intreccio e soluzione. Il gioco (il teatro) vincola e libera. Attira l’interesse. Affascina, incanta. Stupisce. In sostanza il gioco possiede due qualità nobili e fondamentali per l’uomo e per la sua ricerca (al mondo extraquotidiano e trascendentale): ritmo e armonia.

La cosa che mi ha sempre affascinato però nel gioco è che all’interno delle sue regole, qualche trasgressione è tollerata…ogni calciatore, ogni attore, ogni atleta si dice che è un interprete di quel gioco. E in tutte le interpretazioni c’è una propria traduzione del testo, sia esso un campo da tennis o un testo di Beckett, e ogni traduzione porta con sé un tradimento. Una piccola trasgressione, ma all’interno del gioco. Porsi fuori dal gioco infatti equivale a distruggerlo e diventi…il rompiballe della situazione. Quello che non sta al gioco, quello che lo rovina ed è poco divertente. Se ti poni fuori dalle regole allora crolla l’illusione stessa del gioco, crolla la sua magia. E qui c’è la grande differenza tra il baro e il fuorilegge, il baro in qualche misura trasgredisce le regole ma non le calpesta. Il fuorilegge si oppone alle regole. E qui sta un’altra piccola caratteristica inerente al gioco: la lealtà. In questa seconda antitesi tra lealtà e trasgressione il gioco trova un altro campo affascinante e interessante. Il gioco vincola e libera. Libera e vincola. Trova il controllo attraverso il non-controllo.

Ora, se vi piace il calcio, la pallanuoto, il tennis, il rugby, se vi piace lo sport, se vi piace giocare bhe…provate anche a fare teatro, è un bellissimo gioco, fatto di emozioni, valori, cultura e scherzi. Non ve ne pentirete!

Un abbraccio a tutti.

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