Molto spesso mi capita di ascoltare politici, giornalisti, professori, insegnanti, esperti di media e pubbliche relazioni che parlano in tv o alla radio e, interpellati, cercano di spiegare nel miglior modo possibile ciò che conoscono, cercano di trasmettere il loro sapere, il loro “know how” direbbero gli anglofoni.
E fin qui, tutto bene, nulla da dire, anzi, c’è solo da ringraziarli. Il punto però sta nel fatto che in una società, come quella attuale, votata alla comunicazione e alla condivisione dell’esperienza personale, vi sia un piccolo punto di discussione. Troppo spesso questi professionisti, politici, giornalisti o chi altri per loro, presentano accenti regionali, inflessioni che non rendono giustizia all’Italia, perché l’Italia è una, con un suo vocabolario, con le sue regole, con la sua grammatica. Ma qui non voglio porre l’accento sulla sintassi che, ahimé, troppe volte viene storpiata, soprattutto
da alcuni politici che francamente si ha molta difficoltà a difendere da questo punto di vista. Il fatto è che chi si occupa di queste professioni “pubbliche”, dovrebbe occuparsi anche di comunicazione. Se abbiamo qualcosa da dire in pubblico, è giusto pensare anche a come le nostre parole vengono pronunciate e, di conseguenza, recepite.Ma andiamo al punto della questione, le inflessioni regionali e la scorretta dizione. Credo sia importante per la nostra cosiddetta Unità d’Italia, che tutti, nel nostro piccolo, ci impegnassimo di più a rispettare la nostra meravigliosa lingua, così ricca e così straordinaria. E invece non è così.
Perché la stessa parola, a Torino, Milano, Firenze, Roma, Napoli, Bari o Palermo viene pronunciata in maniera differente? Perché? Perché quando si parla in pubblico l’italiano viene storpiato nella stragrande maggioranza dei casi? Certo, anche il D.O.P. (edito da RAI-ERI) – (per chi non lo sapesse è il dizionario/bibbia di ortografia e pronuncia) – parla più che altro di casistica rispetto alla pronuncia delle parole, ma comunque sia esistono una serie di regole che si possono e si dovrebbero rispettare. Il “vérde” è “vérde” e non “vèrde”. “Perché” è “perché” e non “perchè”! Certo non voglio dire che dovremmo sapere perfettamente la dizione di tutte le parole del vocabolario, sarebbe un puro esercizio mnemonico. Però…
Perché nelle scuole non si insegna l’italiano e la corretta dizione? D’altronde si insegna la corretta pronuncia delle lingue straniere, perché non della nostra? Provate a fare un esame d’inglese (in Italia) in cui pronunciate male le parole, ma scrivete tutto in modo corretto…credete che si prenda il massimo dei voti? Lo dubito. In italiano però non è così. Why? P’cché? E non ce l’ho con i dialettismi, con i regionalismi, anzi, essi rappresentano una delle ricchezze dell’Italia e per diversi punti di vista l’Italia si fonda ancora sui Comuni. Ma perché non fare uno sforzo in più e imparare l’italiano nella sua totalità, quanto meno sappiamo che esiste una lingua comune, uguale per tutti sia scritta che parlata. Poi se una persona in famiglia o con gli amici vuole usare il dialetto, o l’italiano “regionale”, ben venga, nessuno glielo può impedire a mio avviso, ma si tratta di avere comunque la possibilità di scegliere. Di scegliere se usare l’italiano con la I “maiuscola” o con la i “minuscola”.
E credo sia molto più corretto e molto più funzionale, in pubblico, utilizzare un italiano che sia comune e comprensibile per tutti. Penso sia un dovere per ogni politico, ad esempio. Così per ogni insegnante, che tutti i giorni cerca di comunicare con i propri alunni. Sì, certo, qui non sto parlando di contenuti (su questo, spero sempre che essi siano eccellenti), ma di forma, e come tutte le forme possono essere criticate. Ma è anche grazie alle forme che si fonda la nostra società contemporanea.
Lo stesso dicasi, a maggior ragione, per gli attori e in qualche misura anche per i cantanti. Credo sia un obbligo, per tutti coloro che si apprestano a svolgere questo stupendo mestiere, conoscere e mettere in pratica la dizione. Molto spesso vedo alunni-attori che studiano le regole della dizione, ma non le mettono in pratica. E purtroppo senza la pratica, soprattutto per un mestiere come quello dell’attore, non vi è possibilità di riuscita.
È come quando si studia chimica o matematica al Liceo, puoi studiare tutte le regole che vuoi, ma se poi non fai gli esercizi non conoscerai mai davvero la materia. Solo con la teoria, ahimé, non andiamo da nessuna parte. Studiare la dizione quindi costa fatica, pratica e tempo. Ma forse fa comodo non studiarla e fare in modo che ognuno parli come diavolo gli pare. Poi però ci lamentiamo da ragazzi quando qualcuno ci prende in giro perché parliamo in modo “diverso” o, di contro, prendiamo in giro il tal professore perché ha l’accento calabro o da bauscia milanese.
Il telegiornale, la tv, il teatro, i luoghi di discussione pubblica, non possono prescindere dal corretto uso della lingua. Perché le parole sono importanti, perché i concetti sono importanti, ma è altrettanto importante il “come” vengono presentate queste parole.
È un po’ come andare a cena in un ristorante costosissimo in cui si mangia bene (a volte, non sempre), ma dove le pareti sono sempre trascurate, il personale è poco curato e i piatti sono serviti in modo sciatto. E poi una bella presentazione ci può anche parare il culo quelle volte in cui il piatto non è proprio dei migliori!
E’ importante sottolineare, che non voglio chiudere le porte ai regionalismi, anzi, lo ripeto, sono una ricchezza. Ma è altresì importante avere la possibilità di scelta! Senza scelta non vi è la vera libertà. Spero che prima o poi il Ministero della pubblica istruzione si renda conto di quanto possa essere arricchente e utile insegnare l’Italiano e la sua dizione a scuola.
E questo è la base (ma da cui bisogna necessariamente partire), poi viene tutto il resto per poter comunicare efficacemente. Vi è quella che viene chiamata comunicazione espressiva, fatta di toni, di cambi di ritmo, di pause, di colori. E ogni tipologia di testo (sia esso poetico o narrativo o giornalistico etc) ha le sue regole e le sue eccezioni. A cui si andranno ad aggiungere poi gli sguardi, la gestualità e la postura.
Comunicare con spontaneità non significa lasciare fare al caso. Ma significa analizzare, comprendere e digerire ciò che si vuole poi trasmettere al proprio interlocutore. Perché un conto è parlare a qualcuno (il che significa io parlo e tu ascolti (non è detto che recepisca) – stop. Monodirezionale) un altro è condividere i propri pensieri con qualcun altro (Vuol dire avere a cuore che ciò che io dico venga perfettamente compreso). Ed è questo il cuore della comunicazione – la bidirezionalità. E costa fatica, sudore, esercizio. In questo senso imparare la dizione è anche un buon modo per abbattere la timidezza.
Come sempre lascio la domanda aperta a tutti e chiedo a voi cosa ne pensate a riguardo o quali esperienze abbiate da condividere.
1 commento su “La corretta pronuncia, l’inflessione regionale e la possibilità di scelta”
Il problema di questo è che molti utilizzano le inflessioni con orgoglio rispetto alle corrette pronunce, quello che per qualcuno è ignoranza per altri è orgoglio, se non entra in testa questo concetto la vedo dura