Essere presenti in scena e nella vita: “to be or not to be”

amleto“To be or not to be. That is the question…”

Sicuramente è la frase più celebre del Bardo, e spesso capita di sentirla e risentirla senza motivo o senza nervo, cosa che al buon Guglielmo farebbe venire il voltastomaco. Pochi giorni fa mi sono imbattuto di nuovo in questa frase. Stavo rileggendo il monologo di Amleto:

“Essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile d’animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell’iniqua fortuna, o prender l’armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli. Morire, dormire, nulla di più, e con un sonno dirsi che poniamo fine al cordoglio e alle infinite miserie naturale retaggio della carne, è soluzione da accogliere a mani giunte.
Morire, dormire, sognare forse: ma qui é l’ostacolo, quali sogni possano assalirci in quel sonno di morte quando siamo già sdipanati dal groviglio mortale, ci trattiene: é la remora questa che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti.”

Certo, Amleto parla di vita e di morte, parla di fortuna e di sfortuna, di tormenti e di lotte. Parla di nobiltà d’animo. Ma credo che “Essere o non essere” sia qualcosa di più. Credo non sia una semplice scelta tra la vita o la morte. Tra le righe vi è qualcosa di più: to be (present) or not to be. Significa “essere presenti” o “non essere presenti”, essere presenti a sé e agli altri. Cosa ci può voler dire Amleto tra le righe? Ci vuole dire che possiamo anche vivere, possiamo respirare e deambulare per strada, ma non esserci. Non essere presenti, il che equivale ad essere morti: “Morire, dormire”. Essere, sì, vivi, ma addormentati, privi di energia vitale.Essere addormentati nella vita significa un po’ morire, essere morti, essere poco interessanti. Quante volte ci siamo detti: “Lasciamo perdere quello lì, è uno che dorme in piedi”. Bhe, se lo chiedeva anche Guglielmo secoli fa.

Poi prosegue il principe Amleto, non si ferma e afferma: “Sognare forse”. Sognare, forse sono i sogni che ci tengono in vita, che ci fanno lottare. Grazie ai sogni viviamo davvero. Siamo pronti alla lotta, “a prender l’armi contro un mare di triboli”, prendere le armi, il che implica un’azione fisica, concreta, vera. “e combattendo disperderli”: combattere, sì, lottare e la lotta, lo sappiamo bene, è alla base della vita, è alla base di qualsiasi scena di vita e a maggior ragione (dato che il teatro e il cinema sono la sintesi della vita) di qualsiasi scena drammatica.

Ma per fare tutto ciò bisogna esserci – dice il Bardo – bisogna essere presenti a se stessi e agli altri. Serve il senso del presente, mentre nella vita di tutti i giorni (e così in scena), il primo ostacolo da superare è quello di allontanarci dai pensieri che ci portano lontani dal luogo in cui si è in quell’istante: i nostri pensieri ci portano a casa, ai problemi in famiglia, con il ragazzo, con la ragazza; ci portano in ufficio, con il datore di lavoro, o fuori, al bar, con gli amici. Tutto ci porta fuori da noi, ci porta al passato o al futuro, a ciò che ho fatto o a ciò che dovrò fare fra un’ora, un giorno, una settimana. Mentre noi, in scena e nella vita dobbiamo riportarci al presente. Dobbiamo essere nel presente. Dobbiamo divorare la vita, il presente, ciò che ci circonda.E’ questo il segreto della vita vissuta attmo per attimo, quello che molti chiamano “vivere la vita pienamente”. Ma tutti noi sappiamo che non è così semplice. Siamo animali complessi, noi umani.

Io amo e ho amato “Ritorno al futuro”, un film che ha segnato un’epoca per certi versi. Per Amleto la domanda riguarda il “ritorno al presente”. All’esserci qui e ora: hic et nunc. Senza altri fronzoli. Significa tornare a guardarsi negli occhi, davvero. Significa vivere il presente, davvero. Significa reagire davvero a ciò che accade in scena, senza finzione, senza recitazione, senza falsità. Questo è ciò che mi hanno insegnato essere” vivere la scena”. Ma per arrivare a vivere tutto ciò bisogna allontanare i pensieri “altri”, allontanare le nostre paure. E questo è un percorso non facile, e non semplice, che si ottiene con l’impegno, con il training, con la voglia di essere presenti in scena. E’ un percorso lungo, che costa fatica e ore di intenso lavoro e soprattutto significa affrontare le nostre paure. L’ostacolo più grande per ogni attore. Fare l’attore non significa imparare un testo o quattro battute a memoria, questo è il meno, credeteci. Fare l’attore significa in primis, combattere ogni giorno, ogni dannato giorno contro le nostre paure, le nostre fobie, i nostri complessi, le nostre debolezze. Affrontarle a muso duro e a volte ci si fa male. Si cade rovinosamente, ma ci armiamo di coraggio e ci riproviamo. Il lavoro paga sempre. Prima o poi supereremo l’ostacolo. E poi ne troveremo un altro contro cui ci scontreremo. E così via. Così nella scena come nella vita.

E la lezione che ci ha lasciato Amleto, non riguarda solo la vita in genere, le grandi domande universali dell’Uomo, ma anche e soprattutto l’Arte tetrale, l’Arte della scena. Com’è evidente nelle parole che lui stesso rivolge alla compagnia di teatranti che arriva a corte. Amleto ci insegna a vivere la scena, Shakespeare ci insegna ad esserci.

Ed è per questo che io ho dato la mia risposta al “to be or not to be”…io ho deciso di lavorare sempre verso il “to be”, all’esserci. A volte ci riesco, altre volte no, ma è una lotta. E nella lotta si scopre qualcosa di nuovo, su di sé e sugli altri.

Grazie William,

e voi, da che parte state? To be or not to be?

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2 commenti su “Essere presenti in scena e nella vita: “to be or not to be””

  1. Mi piace questa analisi. E’ attuale, presente.
    Nella vita di tutti i giorni non mancano pensieri, tribolazioni, affanni, sofferenza. Guardare avanti vivendo con consapevolezza il presente significa trovare la forza ed il coraggio per continuare ad essere vivi. Bravo!

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