L’attore e la sua storia: etica, irriverenza, sogno e sperimentazione

Notizia: la sede parigina del settimanale satirico Charlie Hebdo, uscito oggi con un numero speciale ribattezzato Charia Hebdo (giocando con la parola sharia, ndr) con Maometto in prima pagina, è andata distrutta la scorsa notte in un incendio doloso.

Il fatto certo è grave, è grave che un giornale satirico parigino venga attaccato fisicamente per ciò che ha scritto sulle proprie pagine. I sospetti si concentrano su estremisti che provengono dalle banlieu e dalle folte file della seconda generazione di islamici francesi. Ovviamente qui non voglio parlare di cronaca, ma del commento del ministro della cultura francese, Frédéric Mitterand, a riguardo: «non esiste democrazia senza irriverenza, senza satira o senza parodia» ha detto.

Queste parole mi hanno fatto pensare alla leggerezza dell’attore. Un attore con irriverenza, con il gusto per la satira e per la parodia, anche se velata e non sempre evidente, ha un qualcosa

 in più. Ha un’arma in più nella sua valigetta degli attrezzi. Irriverenza, democrazia, satira e visionarietà sono alla base della storia dell’attore. E un po’ di storia non fa mai male. Anzi. Ogni tanto rispolverare un po’ di scienza e coscienza storica aiuta.

Come molti sanno l’attore occidentale, secondo la tradizione, nasce grazie al poeta Tespi, durante i primi agoni tragici ad Atene nel corso della LXI Olimpiade, tra il 535 a.C. e il 533 a.C., nel VI secolo a.C. quindi.

L’attore, all’epoca, veniva chiamato hypocritès (oggi in effetti qualcuno ci chiama ipocriti, ma questo è tutta un’altra faccenda e trae spunto, ahinoi, dalla cultura borghese del XIX secolo, e ha un accezione completamente diversa!), dal verbo hypocrìnomai. Ci sono ovviamente molte discussioni sull’origine del termine e sul suo significato. Uno dei significati del verbo in questione è “spiegare” o “interpretare” sogni (visioni, prodigi). L’attore era colui che arrivava (come un Messaggero) e spiegava un sogno e lo rendeva comprensibile per chi lo ascoltava. All’inizio, nella sua fase più arcaica, l’attore non aveva che un solo interlocutore: il coro (che rispondeva solo attraverso forme cantate). Una persona spiegava un sogno ad un gruppo di persone. E se badate bene non è molto distante da ciò che un prete fa, ancora oggi, durante una messa. È lo stesso schema. Solo che il coro è composto dai credenti stessi. E anche lui spiega al Coro un sogno. Interpreta le Scritture. E questo accade tendenzialmente in tutte le religioni, sia esso Cristianesimo, Islamismo, Ebraismo etc. (Ecco perché, secondo alcune tradizioni, per esempio quella russa, l’attore è come un missionario, è come un prete che parla agli uomini!)

La grande rivoluzione si ebbe con Eschilo, che introdusse un secondo attore. Grandioso! Ora c’è la possibilità di far dialogare più personaggi tra loro! Ciò significava, inoltre, ridurre le parti cantate del Coro e dare al logos (ossia la parte discorsiva) la parte principale – secondo quanto riporta Aristotele nella Poetica. Un dialogo permette la possibilità di confronto tra due culture e tra due ideologie diverse. Per esempio in Medea di Euripide è chiaro come queste due linee, tra le altre, posso essere rappresentate da una cultura primitiva e arcaica, simbolicamente incarnata da Medea e da una cultura civilizzatrice e “contemporanea” incarnata da Giasone. L’attore quindi si fa portavoce di valori e parole proprie di una comunità e di un modus vivendi. Sempre nell’ottica di spiegare/interpretare un sogno, una visione. Dal V secolo a.C. questa visione non è altro che il sogno dell’autore, il testo.

L’attore, grazie alle parole dell’autore, si rende dunque portatore di valori etici, morali e quindi politici (dove qui intendo per politica la dottrina del diritto e della morale – concetto che si può ritrovare nell’Etica di Aristotele). Non è un caso che nell’Atene del V a.C. il teatro avesse un posto centrale nella vita e nel pensiero di questa comunità unita e che ha dato i natali ai principi di democrazia.

E nei momenti di crisi della polis greca fiorisce l’eroe comico, l’attore comico quindi prende piede e con Aristofane trova una sua prima grande affermazione. Aristofane condanna i cattivi costumi dello Stato e del popolo facendo uso della satira, facendo uso del Witz freudiano, del motto di spirito. Secondo la sua concezione per un artista l’impegno politico era un’esigenza inderogabile. E prevalentemente attaccava due elementi: il potere degli dèi e la cattiva gestione del governo. In un quadro socio-politico attuale sicuramente di forte attualità, come dimostra il Charlie Hebdo in Francia. E’ un po’ come il fool (il matto, visionario, spiritoso e dall’intelligenza sottile) nella tradizione shakespeariana. O agli inizi del XX secolo basti pensare ad un simbolo, ad un’icona della satira come Charlie Chaplin. Ironico, irriverente, poetico. Tragico.

L’attore è tutto questo. È etica, è irriverenza, è sogno, è voglia di divertirsi, di cantare, di danzare, è voglia di esplorare il mondo. E lo fa giocando, per lavoro, ben sapendo che comunque ha delle responsabilità a cui non si può sottrarre. Ed è soggetto a critiche, sempre e comunque. E va bene che sia così. Senza arrivare a colpirlo con le molotov, però! Un lancio di carciofi è più che sufficiente!

L’attore è tutto questo. O, almeno, dovrebbe esserlo…

Un abbraccio a tutti.

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