In questi giorni sto lavorando assiduamente su “Molto rumore per nulla” di William Shakespeare, bhe, che dire, più studi Guglielmo, più te ne innamori. Ogni volta che leggo suoi testi rimango in visibilio, esterrefatto dalla sua grandezza e da quanta vita c’è nei suoi testi. Ogni testo è un concentrato esplosivo di vita. E, davvero, più lo leggi, più trovi elementi nuovi, geniali. Willy è stato visto, rivisto, rivisitato, reinventato e chi più ne ha più ne metta, ciò che rimane è che ci parla ancora, sempre. Dentro conserva una precisione sulle dinamiche relazionali che sono impressionanti. La psiche non era ancora stata analizzata, “inventata”, decodificata e ci sarebbero voluti altri 300 anni circa per avere Freud and friends, ma lui custodisce chiaramente un mondo di risvolti e relazioni che ha davvero dell’ incredibile. Dovessi immaginare il cervello di Will, bhe, lo vedo come un database infinito di immagini, inquadrature
e cambi di luce. Me lo immagino camminare per le strade di Londra con una reflex in mano, mentre cambia continuamente pellicole e lenti e immagazzina tutto dentro la sua testa, e poi torna a casa e con tutte quelle immagini nel cervello, scrive con passione e cura ogni dettaglio. Taglia e cuce, risistema e cesella. Essere artisti è questo. Essere artisti è essere come degli artigiani, così mi è sempre stato insegnato e così credo debba essere. Anche se oggi, specialmente in Italia, vedo che molti si trincerano dietro questo questa frase “siamo degli artigiani” per intendere che il lavoro si fa passo per passo, un po’ a tentoni, tra mille difficoltà, dando una spallata di qua e una spallata di là, più che un lavoro d’artigiani (così come ce lo vendono) mi sembra un lavoro pieno di falle, abbozzato e raffazzonato. Gli artigiani, quelli di una volta (ma sono un inguaribile ottimista e ce ne sono ancora oggi in Italia!), stavano attenti ad ogni particolare. Era un continuo lavoro di finitura (i latini lo chiamavano labor limae), cosa che oggi manca in molti casi. Almeno, lo spread dice così, siamo un paese di fanfaroni, così siamo visti all’estero (anche se non è sempre così e ci sono realtà di assoluto livello). Abbiamo avuto il paesaggio più bello del mondo, in cui uomo e natura coesistevano in armonia e per secoli siamo stati da esempio in tutta Europa, ma tutto questo lo stiamo perdendo drammaticamente. I nostri architetti, i nostri inventori, artigiani e attenti al dettaglio, erano i migliori, e ce li chiedevano in tutte le corti d’Europa. Ma piano piano in Italia qualcosa si è perso, questo connubio natura/uomo ha perso e sta continuando a perdere pezzi. Sono sempre più frequenti i casi di scempi paesaggistici. Disboschiamo, ad esempio, senza sapere che le radici degli alberi sono vitali per controllare e resistere alle scosse sismiche del terreno, soprattutto in aree critiche della nostra Penisola. Ma a noi va bene così, siamo il paese di Pinocchio, Pulcinella, Don Rodrigo e compagnia bella. Il Signior Shakespeare aveva ambientato “Molto rumore per nulla” a Messina, in Italia, e così altre opere, perché l’Italia era un bellissimo set sia per le emozioni che faceva nascere, sia per le atmosfere che riusciva a regalare. Oggi siamo famosi per altro, per l’immondizia, per la corruzione (è un leitmotiv questo che in realtà ci accompagna da molto) e per lo spreco (di energie e di risorse). Qualche giorno fa ero a Milano, in piazza San Babila, una donna prima di entrare in un negozio chic-allamoda-wow, si fa il suo ultimo bel tiro di sigaretta e poi la getta per terra. Di fianco aveva tre, e dico tre, cestini per i rifiuti. La noncuranza con cui ha gettato la sigaretta per terra è stata come una coltellata al fianco. Non so, sto diventando ipersensibile a questo tipo di episodi. La noncuranza ci ucciderà. La noncuranza dovrebbe essere debellata nelle scuole, e prima ancora nelle famiglie, sempre che si voglia un Paese migliore di quello attuale, per i nostri figli e pronipoti e sempre che si ami il nostro Paese. Lo stesso vale per l’arte e la recitazione. Per Stanislavskij il testo non dev’ essere affidato ai muscoli della lingua, ma alle immagini, alla creatività, al viaggio interiore dell’attore. Un attore non deve muoversi così, tanto per deambulare nello spazio scenico, ogni azione non è una manifestazione periferica del corpo, ma è un’azione frutto di un lavoro complesso: quando hai una tazzina e devi girare il caffè, la vera azione è in quello che passa attraverso la mano, mentre giri il caffè. L’azione viene dal di dentro. È un lavoro artigianale, certosino, di labor limae. Dove prima di trovare la sintesi del gesto bisogna sbagliare per eccesso ed essere generosi. Senza questo l’arte diventa arida, perché di genericità si muore. Altrimenti faremo sempre tanto rumore, per nulla.
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Luca
1 commento su “Molto rumore per nulla, l’Italia e le azioni fisiche di Stanislavskij”
Valentina
Ciao Luca sono pienamente d’accordo con te sul fatto che solo il dettaglio, l’attenzione e in una parola l’ascolto di tutte le cose animate e non, ci consente di estrapolare significati da un suono indistinto (ado 🙂 ) e non esiste se è presente in noi, appunto, quella curiosità esplorativa. Anche perché un vero ascoltatore NON SA!
Sono certa che la base di tutto è il saper ascoltare (anche in molto rumore per nulla !) perché l’ascolto è un atto volontario che oltrepassa le parole: non è il semplice registrare, ma è laboriosa cura “labor limae” nel trovare tra le “pieghe” del discorso un senso che apre.
Ed è proprio in questa cura laboriosa che sta il percorso di scoperta, Joel Elkes (pioniere della ricerca psicofarmacologica) diceva che «Una cura significa restituire al “tutto”. … Le parole “cura” (healing), “tutto” (whole) e “santo” (holy) in inglese derivano dalla stessa radice anglosassone, per cui “santo” significa essere completo come persona in relazione agli altri o al pianeta intero. Il dolore è un segnale per cui la “parte” si è separata dal “tutto”».
È per questo motivo che l’ascolto non è una tecnica da applicare ma è una modalità da praticare… come il teatro-
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1 commento su “Molto rumore per nulla, l’Italia e le azioni fisiche di Stanislavskij”
Ciao Luca sono pienamente d’accordo con te sul fatto che solo il dettaglio, l’attenzione e in una parola l’ascolto di tutte le cose animate e non, ci consente di estrapolare significati da un suono indistinto (ado 🙂 ) e non esiste se è presente in noi, appunto, quella curiosità esplorativa. Anche perché un vero ascoltatore NON SA!
Sono certa che la base di tutto è il saper ascoltare (anche in molto rumore per nulla !) perché l’ascolto è un atto volontario che oltrepassa le parole: non è il semplice registrare, ma è laboriosa cura “labor limae” nel trovare tra le “pieghe” del discorso un senso che apre.
Ed è proprio in questa cura laboriosa che sta il percorso di scoperta, Joel Elkes (pioniere della ricerca psicofarmacologica) diceva che «Una cura significa restituire al “tutto”. … Le parole “cura” (healing), “tutto” (whole) e “santo” (holy) in inglese derivano dalla stessa radice anglosassone, per cui “santo” significa essere completo come persona in relazione agli altri o al pianeta intero. Il dolore è un segnale per cui la “parte” si è separata dal “tutto”».
È per questo motivo che l’ascolto non è una tecnica da applicare ma è una modalità da praticare… come il teatro-
Valentina