Fare l’attore per me significa anzitutto essere presenti a ciò che si fa. Il direttore, in Accademia d’Arte, ci ripeteva spesso: “ricordatevi, ragazzi, non è importante fare ciò che si vuole, ma volere ciò che si fa”. Ho ragionato lungamente su questo punto. Si tratta di sfumature, forse, ma sono sfumature essenziali. Volere ciò che si fa significa appunto essere, stare presenti, vivere la vita in scena momento dopo momento.
Si lotta ogni giorno contro questo ostacolo. E certo la vita di tutti i giorni non ci aiuta. E nella società di oggi, nella vita reale, è difficile stare presenti, si fa di tutto per non esserlo, si fa di tutto per non essere qui e ora, ma per cercare di evadere, di essere da un’altra parte. Come dice Frédéric Beigbeder in “Lire 26.900”: “Per divertirsi gli occidentali evadono attraverso la televisione, il cinema, internet, il telefono, i videogiochi, o una semplice rivista. Fanno le cose ma non ci sono mai con la testa, vivono per procura, come se fosse un disonore accontentarsi di respirare qui e ora. Quando ci si piazza davanti alla tv o a un sito interattivo, quando si parla al cellulare o si gioca alla Playstation,non si vive. Si è da un’altra parte rispetto a dove si sta. Forse non si è morti, ma neanche troppo vivi. Sarebbe interessante misurare quante ore al giorno passiamo altrove dall’istante.”
(F. Beigbeder – Lire 26.900. | 2001, Ed. Feltrinelli) Già, sarebbe interessante misurare quante ore al giorno siamo altrove dall’istante. Bhe, possiamo fare un piccolo esperimento e a fine giornata fare un breve calcolo. E ve lo dice uno che ha il pc sempre acceso, usa i social networks e ha una console in casa. Lotto tutti i giorni con questo daimon, questo demone tecnologico. In scena e nella vita però bisogna cercare di conquistare questa purezza data dal presente, scevra da pensieri altri, anche solo per poche ore.
Il training dell’attore serve, in prima battuta, proprio per arrivare ad eliminare quelle tensioni, quei pensieri che ti allontanano da questa purezza. Ho visto e vedo tutt’ora giovani allievi attori che quando si fa training perdono d’attenzione, sono svogliati, molli, come se il training non facesse parte del mestiere dell’attore, ma fosse solo una rottura di scatole per arrivare poi a fare improvvisazione o per “recitare una parte”, dire battute! Purtroppo fare training costa fatica, tanta, ma quella è la base, lo zoccolo duro su cui costruire il proprio modo di interpretare un ruolo. Quando ho avuto l’onore di lavorare con Julie Stanzak, Jurij Alschitz, Margie Haber o quando ho avuto modo di ascoltare in una conferenza/intervista Michael Caine, ho capito (ma non con la testa, bensì con la pancia e con il cuore) una cosa per me fondamentale: secondo la tradizione tedesca e russa in primis, e poi anche inglese e americana, l’arte dell’attore ha a che fare con l’eccellenza, sia fisica (nel senso di voler bene al proprio corpo, nostro strumento di lavoro) che, soprattutto, spirituale.
Intendiamoci, non significa che debba rinunciare ai piaceri della vita, anzi, li deve gustare all’ennesima potenza, forse. Spiritualità non è castrazione psico-fisica. Deve sviluppare continuamente la sua sensibilità, sensoriale ed emotiva. Spiritualità come tensione verso dio, verso l’infinito, verso qualcosa di superiore a noi. E non esiste il concetto di giusto o di sbagliato, il giusto sta nella tensione verso l’alto, nella lotta per cercare di essere migliori di quello che siamo. Si può e si deve sbagliare. E altresì bisogna sviluppare il senso del ridicolo e dell’ironia (un attore senza ironia e autoironia rischia di prendersi troppo sul serio! Cazzu cazzu iu iu!)
Ha ragione chi sostiene che oggi più che mai abbiamo bisogno di attori e autori, bravi scrittori e bravi attori, i testimoni della realtà e della verità: Un giorno un signore anziano ad una conferenza incontrò una signora sulla cinquantina, trovò piacevole parlare con lei, parlavano del più e del meno e di quanto fosse noioso quel convegno. Ad un certo punto il signore chiede che alla donna quale lavoro facesse. La signora rispose, lui subito si rabbuiò. Divenne triste tutt’a un tratto. Aveva appena scoperto che lei era un’attrice. La signora chiese cosa fosse successo. Lui, con gli occhi bassi, disse solo che odiava il teatro. Ci era andato una volta sola ma non gli era piaciuto per nulla. La donna chiese il perché. Lui rispose che era andata a vedere uno spettacolo e all’interno dello spettacolo vi era il monologo di una donna che aveva perso un figlio. L’aveva fatto arrabbiare tanto da uscire dal teatro. Ora aveva gli occhi lucidi mentre parlava. La donna rimase in silenzio e lo fissò. L’uomo riprese fiato, si asciugò gli occhi poi disse che anche lui aveva perso una figlia. La cosa che lo aveva fatto arrabbiare terribilmente era che quell’attrice provava, fintamente, le stesse emozioni che lui aveva provato nella tragica realtà. E non lo concepiva. Odiava la messinscena!
La realtà delle emozioni in scena sconvolge, se sono oneste.
Ora, ciò non significa che bisogna per forza essere attori impegnati solo in progetti culturalmente elevati o di protesta contro il sistema o solo dai grandi valori umani. Si possono fare anche spettacoli più frivoli, spettacoli più commerciali, film brillanti, commedie etc. Un po’ di pop non fa male, per l’amor del cielo. Ma l’importanza di avere Attori è perché dicono la verità e cercano la verità nelle loro azioni e intenzioni. Con il loro lavoro tendono alle verità profonde dell’animo umano, siano esse in funzione di un codice tragico, drammatico, brillante o comico.
C’è ancora fortunatamente chi difende gli Attori, difende la categorie di persone alla quale si sente più vicina e con la quale riesce ancora a confrontarsi e a trovare umanità. Perché sono tra le poche persone che rimangono in ascolto e sono presenti. Ci sono hic et nunc. Ti guardano negli occhi. Magari non sono d’accordo, magari si discute animatamente, ma ascoltano e rispondono e c’è ancora una possibilità di confronto, tenendo presente che non si può piacere a tutti, com’è normale e naturale che sia. Questo è il motivo per cui alcuni fanno teatro: per la verità. E lo trovo un gran bel motivo.
Tu, io, noi, loro: perché facciamo teatro?
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Luca
2 commenti su “Perché facciamo teatro? Da Beigbeder a Jurij Alschitz.”
Buongiorno..in questo periodo della mia vita sto cercando di avvicinarmi al teatro, di farlo in un modo piacevole e onesto. Tentai un paio di volte, mi iscrissi ad alcuni corsi e la prima volta durante una lezione al buio il solo contatto fisico con un “estraneo” mi disturbò.. la seconda volta la paura vinse ancora prima di iniziare e non mi presentai per il provino iniziale. La paura. Dopo un periodo di crescita personale, un percorso meraviglioso e liberatorio eccomi di nuovo a teatro. Finalmente ogni gesto, emozione e azione è vissuta con gioia e apertura. Percepisco chiaramente il piacere di me e dell’altro. LA paura si manifesta come voce interiore che mi dice:provaci! e assecondandola mi ritrovo liberata, una catarsi personale e collettiva. Non so cosa vorrò fare da grande, non credo di voler fare l’attore. Giorno per giorno vorrei solo godere delle emozioni che mi trasmette il teatro. E’ curioso che tu abbia utilizzato il termine daimon come demone ..perchè significa anche spirito guida. E’ esattamente colui che ti ha portato a fare ciò che sei ora. Per interrogare e trovare il nostro daimon una amica mi ha proposto questo esercizio di visualizzazione: sei nella tua stanza, con un mantra e dell’incenso, ti ritrovi su un tappeto volante e da lontano scorgi un’isola, vedi una porta e provi a varcarla. Attraversata scopri un giardino e li incontri il vecchio saggio, il tuo io.. Che domande vuoi fargli? lui ti risponderà.. poi ritorna nel giardino e riprendi il tappeto volante. Sarai uscito dal tuo io con una consapevolezza in più da portare agli altri. Buona giornata! 😉 Gattociccione
Ciao Gattociccione! Grazie per aver condiviso la tua esperienza! L’esercizio di visualizzazione è molto interessante. Per tutti: assolutamente da provare!!!!
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Ciao a tutti, come state? Lo so, è tanto che non scrivo un post. Tanto, troppo (per alcuni…anzi, ne approfitto per ringraziare di cuore tutti colori che mi hanno inviato messaggi, in questi anni, di sostegno e di richiesta di nuovi post!). E’ diverso tempo
Stamattina ero in balcone, guardavo le montagne lontane e il sole batteva sulla casa di fronte, io mi godevo l’ombra e già che c’ero ho annaffiato la piantina di basilico che mi guardava triste. Leggevo alcune poesie di Kavafis e mi sono soffermato su “Itaca”, un
Ho sempre amato la filosofia – al liceo come ho già avuto modo di dire, ho amato il mio professore di filosofia – era ed è una materia appassionante, a volte fine a se stessa, una bella pippa mentale, ma ti allarga il pensiero, lo
Qualche giorno fa è venuta fuori la notizia sul valore del capitale umano in Italia: per l’ISTAT sostanzialmente ogni italiano vale 342mila euro, mentre una donna italiana vale circa 231mila euro, ossia il 32,5% in meno (secondo dati del 2008). Ovviamente questi dati non tengono
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2 commenti su “Perché facciamo teatro? Da Beigbeder a Jurij Alschitz.”
Buongiorno..in questo periodo della mia vita sto cercando di avvicinarmi al teatro, di farlo in un modo piacevole e onesto. Tentai un paio di volte, mi iscrissi ad alcuni corsi e la prima volta durante una lezione al buio il solo contatto fisico con un “estraneo” mi disturbò.. la seconda volta la paura vinse ancora prima di iniziare e non mi presentai per il provino iniziale. La paura.
Dopo un periodo di crescita personale, un percorso meraviglioso e liberatorio eccomi di nuovo a teatro.
Finalmente ogni gesto, emozione e azione è vissuta con gioia e apertura. Percepisco chiaramente il piacere di me e dell’altro. LA paura si manifesta come voce interiore che mi dice:provaci! e assecondandola mi ritrovo liberata, una catarsi personale e collettiva.
Non so cosa vorrò fare da grande, non credo di voler fare l’attore. Giorno per giorno vorrei solo godere delle emozioni che mi trasmette il teatro.
E’ curioso che tu abbia utilizzato il termine daimon come demone ..perchè significa anche spirito guida. E’ esattamente colui che ti ha portato a fare ciò che sei ora.
Per interrogare e trovare il nostro daimon una amica mi ha proposto questo esercizio di visualizzazione: sei nella tua stanza, con un mantra e dell’incenso, ti ritrovi su un tappeto volante e da lontano scorgi un’isola, vedi una porta e provi a varcarla. Attraversata scopri un giardino e li incontri il vecchio saggio, il tuo io..
Che domande vuoi fargli? lui ti risponderà.. poi ritorna nel giardino e riprendi il tappeto volante.
Sarai uscito dal tuo io con una consapevolezza in più da portare agli altri.
Buona giornata! 😉
Gattociccione
Ciao Gattociccione!
Grazie per aver condiviso la tua esperienza!
L’esercizio di visualizzazione è molto interessante. Per tutti: assolutamente da provare!!!!
Buona giornata a te!
Luca