Ricordo, memoria, Nice che dice boh e le budella graffiate.

nietzsche luca stano blogCiao a tutti, come state? Lo so, è tanto che non scrivo un post. Tanto, troppo (per alcuni…anzi, ne approfitto per ringraziare di cuore tutti colori che mi hanno inviato messaggi, in questi anni, di sostegno e di richiesta di nuovi post!). E’ diverso tempo che volevo riprendere un po’ in mano il blog, sono passati tanti anni, virus vari, covid e mica covid, ma oggi, tranquilli, vorrei parlare d’altro, niente pandemia, promesso.

Vorrei parlare della parola “Ricordo”. E la miccia si è accesa grazie ad un Don, ad un’omelia che ho ascoltato qualche giorno fa durante una Messa in ricordo, appunto, di una persona cara.

Ricordo, già. Un atto che facciamo ogni giorno… ogni santo giorno, direbbe il Don! E più volte al giorno. E lo fa sempre un attore, lo fa sempre chi si occupa di raccontare una storia. Piccola o grande che sia. La storia è ricordo. Si fonda sul ricordo. E che significa ricordare? Ah però, qui…attenzione…non parlo di memoria. Memoria e ricordo sono due condizioni o momenti distinti. La memoria è, diciamo così, la conservazione o persistenza, in qualche forma, delle conoscenze passate, che, per essere passate, devono essere sottratte alla vista: prendi un testo, lo leggi più volte, poi chiudi la pagina (a volte chiudi gli occhi con la speranza – fasulla – di concentrarti meglio) e fai “memoria”.

Il ricordo è qualcosa d’altro. Qualcosa di più profondo. Di più intimo. Quando raccontiamo una storia, l’attore in primis e molto spesso anche chi ascolta, entra nel tunnel del ricordo, in una canale tutto suo, unico e inimitabile, che porta dritto dritto a sconvolgimenti, più o meno evidenti, del corpo, chi suda, chi palpita, chi piega le spalle etc.

Etimologicamente la parola “Ricordo” deriva dal latino re e cor – cuore, cioè sta a significare qualcosa di bellissimo, ossia “richiamare in cuore”, “richiamare al cuore”. Meraviglioso, un termine pazzesco. Santo (again) latino! Il ricordo richiama nel presente del cuore qualcosa che non è più qui o non è più adesso, o almeno, non nella sua forma originale. E nascono, fioriscono ed esplodono i sentimenti a lui connessi. E ci emozioniamo, perché nell’atto stesso di tornare al cuore, quel momento, quella persona, quella roba lì rivive – e non è un sogno fatuo o una fantasticheria, ma un sentimento concreto, un’ esperienza diretta. È la possibilità di consultare il passato, di interrogarlo, di distendercisi (scusate lo scioglilingua, articolate!) ancora. E non è mera nostalgia, non è melancolia, (oddio, può sempre diventarlo) ma è un momento, quello del ricordo, per capire ed essere capaci di cura e di responsabilità nel presente e nel futuro. È un atto capace di creare consapevolezza su chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare e fino a dove possiamo spingerci. Il ricordo è Vitale, come respirare. Così come il Teatro e l’Arte in genere lo sono, Vitali, perché sono generatori naturali di ricordi. Quant’è bello quel momento del ricordo, della riviviscenza, del rendere presente qui ed ora qualcosa che è stato e non c’è più, ma lo vivi, lo senti dentro, e ti può graffiare le budella o accarezzare i polmoni. È un momento magico. Unico. Di inestimabile valore. E a teatro tante volte l’ho sentito quel momento magico, a volte ero l’attore, altre il regista, altre volte il semplice spettatore e sempre mi lascio rapire dai miei ricordi, esco dalla sala e sono una persona diversa.

Aristotele (ecco, ora dopo il latino…anche la citazione greca…perdonate me, oh amici del webbe…) diceva che il ricordo è un atto di ricerca. E’ un atto soltanto degli uomini. Ci contraddistingue, come esseri viventi. Riportare al cuore quindi, ci differenzia. Ci rende unici. Il teatro è una grande palestra in questo senso, bisogna solo averne voglia. Di cosa, di teatro? No, bisogna aver voglia di una cosa diversa, di una cosa che diceva Nietzsche (sì, avete ragione, ho controllato come si scriveva il cognome…mi dimentico sempre la “z” e sì, mi è partito il loop del Nice che dice bohchi se ne frega uh…, grande Sugar Fornaciari!)…scusate la lunga parentesi, dunque, si parlava del detto di Nietzsche: “Io ho fatto questo, – mi dice la memoria. No, non posso averlo fatto, – sostiene il mio orgoglio che è inesorabile. E alla fine cede la memoria.” Già, la memoria cede il passo all’orgoglio. Bisogna aver voglia di fare l’opposto. Dare a Cesare quel che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio – e così ritorniamo da dove siamo partiti…grazie Don per avermi fatto ripensare a questa bellissima parola. Una parola… Umana, troppo umana (forse). Una parola per spiriti liberi. (e qui chiudo in bellezza parafrasando il vecchio Friedrich Nice che dice!)

A presto!

 

Citazioni e consultazioni tratte da:
Ali di là del bene e del male – F. Nietzsche
Umano. Troppo umano. Un libro per Spiriti Liberi – F. Nietzsche
Dizionario Etimologico – Rusconi Editore
L’etimologico minore – Zanichelli Editore

E non dimentichiamola:
Nice che dice boh – Zucchero Fornaciari

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